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Gli umani sono creature della narrazione: infinitamente narrano e si narrano, intrecciano dialoghi, accendono storie per illuminare buie caverne del cuore e del mondo, recuperano e trasmutano ricordi. Viviamo tra una realtà soda e scabra, inconoscibile, una fornace enorme di perturbazioni e richiami e colori, e un'interiorità effimera: e tra le due, tra il mondo e noi, tessiamo col pensiero e con le parole un fragile ponte che si chiama senso. Dondola questo ponte al soffio ineguale di un vento cosmico, lasciando fosforici frammenti: clessidre improvvise, anonimi centauri, geometri insonni, sillogismi lontani, stirpi sparse, neri basalti, anacoreti folli, plesiosauri silenti, flauti e cornamuse. Queste particele luminose compongono e ricompongono figure, e su quelle figure ci facciamo domande e narriamo storie. Solo la vertigine del domandare e del narrare può dar senso a una vita che alcuni dicono intessuta di pura casualità. Staccati per sempre dalla florida matrice del mondo, tormentati dal pensiero, prigionieri delle parole, schiavi dell'interpretazione, smarriti in un lungo corridoio di specchi affacciati: siamo al centro di un grande, incomprensibile rimbombo. Questo rimbombo è la lingua del mondo, una lingua frenetica e densa, segreta e appassionata, una lingua che è nelle cose, una lingua che non cessa di essere parlata.